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Ostetricia

Ginecologo Dr. Luigi Cetta, fautore del Management della Gravidanza

DNA fetale Vs Bi-test

Negli anni la diagnosi prenatale ha fatto continui passi avanti, non solo nel diventare più precisa e attendibile, ma anche nell’essere sempre meno invasiva, proprio come nel caso del test sul DNA fetale ricercato nel sangue materno.

Questo test si basa sulla ricerca e l’analisi del DNA estratto dalle cellule del feto circolanti nel sangue materno, ed è una metodica di screening che negli ultimi anni è diventata sempre più diffusa, soprattutto perché, come detto, non è invasiva né rischiosa. Per effettuarlo, infatti, basta fare un semplice prelievo del sangue della gestante. si possono eseguire a partire dalla decima settimana di gravidanza e consentono di individuare le possibili anomalie cromosomiche del feto, in particolare alcune trisomie (cioè situazioni in cui invece che due cromosomi appaiati ce ne sono tre, come la sindrome di Down, di Edwards o Klinefelter), oltre a patologie e sindromi legate a geni presenti sul cromosoma sessuale X.

Negli ultimi cinque-sei anni numerose ricerche internazionali hanno dimostrato che con i test del DNA fetale si può effettuare anche la diagnosi precoce di alcune patologie metaboliche rare; è anche possibile individuare mutazioni cromosomiche chiamate microdelezioni (anomalie caratterizzate dalla perdita di piccoli frammenti di DNA dispersi nel corredo genetico), spesso sottovalutate, ma che la ricerca sta associando sempre più alla presenza di disordini del neurosviluppo.

Questi test devono essere sempre accompagnati, prima e dopo l’esito, da un’accurata consulenza genetica e familiare, al fine di individuare eventuali fattori di rischio materni e paterni che possono incidere sullo sviluppo di anomalie cromosomiche. Un risultato negativo del test del DNA fetale, infatti, non può escludere al 100% la presenza di anomalie anche minime. Così, se è positivo, esiste almeno un 5% di feti che non hanno in realtà alcuna anomalia. Si tratta in questi casi di “falsi positivi”.

Un esito positivo del test del DNA fetale richiede quindi necessariamente il ricorso a procedure strumentali invasive, che hanno l’obiettivo di confermare il risultato o escluderlo; l’attendibilità è del 99%, solo per i cromosomi che sono oggetto del test. E’ possibile concludere che è quasi sovrapponibile a quella di villocentesi e amniocentesi; non è del 100% perché l’esame viene effettuato su una quantità assai esigua di DNA fetale libero, con una metodica complessa, per questo può capitare un piccolo margine di errore, che dagli studi effettuati è stato stimato intorno all’1%.

Un margine che probabilmente verrà annullato in un futuro non lontano con l’ulteriore miglioramento della tecnica. Per il momento, se il test del DNA risulta positivo, si consiglia di effettuare una villocentesi o un’amniocentesi per avere la certezza della diagnosi.

ll test del DNA si controlla solo alcune coppie di cromosomi, sebbene siano quelle dove si riscontra la gran parte delle patologie. Nella villocentesi e amniocentesi viene indagato l’intero assetto cromosomico. In più, non sono indagabili le malattie di un singolo gene, che nei casi con familiare affetto si possono diagnosticare tramite villocentesi con la sonda molecolare per quel gene: ne è un esempio la talassemia.

Possiamo concludere che in prospettiva ci sono buone speranze che si possano sostituire indagini invasive per la diagnosi prenatale, ma al momento occorre prestare ancora molta attenzione e prudenza.

Ultimamente c’è una tendenza ad associare l’esecuzione del DNA fetale al Bi-test.

Il nome Bi-test deriva dal fatto che questo esame si divide in due diverse indagini mediche che si effettuano in momenti separati. La prima consiste in un semplice prelievo di sangue della madre per cercare due proteine specifiche, che sono biomarcatori di patologie fetali. La seconda indagine è un’ecografia, chiamata translucenza nucale, che consente di prendere delle misurazioni sul feto e di valutare la sua conformazione.

Il Bi-test si effettua tra la 11^ e la 13^ settimana di ameneorrea (il test del DNA fetale può essere eseguito alla 10^ settimana), con un’affidabilità statistica del 85% e il 25% di risultati “falsi positivi”.

Appare intuitivo concludere che è per certi versi inspiegabile associare l’esecuzione del DNA fetale al Bi-test, nonostante qualche gruppo di esperti spingano per allineare le due metodiche.

Ma nel tempo l’ulteriore perfezionamento della tecnologia di studio sul DNA fetale renderà tale procedura preferibile per la sua unicità e maggiore sicurezza.

Dott. Luigi Cetta Ginecologo

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